«Accumulando fotografie su fotografie, si vorrebbe bandire il ricordo di quella morte che è, invece, compresente in ogni immagine della memoria. Il mondo è diventato, nelle riviste illustrate, un presente fotografabile e il presente fotografato è stato reso eterno; sembra strappato alla morte, ma in realtà è abbandonato in sua balía»[1].
(Siegfried Kracauer)
Nel celebre testo La fotografia del 1927 Siegfried Kracauer ci propone un’immagine del nostro quotidiano dominato dalla «riproducibilità tecnica»[2] che oggi è a noi familiare. Le «riviste illustrate» parrebbero ricordarci i siti web e le «fotografie su fotografie» i dati che ogni giorno siamo abituati ad immagazzinare, consultare e condividere senza sosta. La provocazione che il filosofo lanciava allora parlando di un mondo contemporaneo «strappato alla morte, ma in realtà […] abbandonato in sua balìa», risuona oggi più attuale che mai. Il Web e più in generale le cosiddette ICT (Information and Communications Technology) sono ormai parte integrante della nostra quotidianità. L’utilizzo di massa di smartphone, personal computer e strumenti digitali costantemente connessi è sempre più diffuso e sembra condizionare il nostro modo di informarci, di lavorare e di comunicare. Così, dinanzi ad una massiccia diffusione dei dispositivi elettronici, diviene imprescindibile chiedere un aggiornamento critico sulle derive prodotte dal rapporto uomo-macchina che si evolve e modifica senza sosta. Siamo circondati sempre più da tecnologie che ci aiutano a conservare e a condividere dati, ma l’incessante “messa in memoria” di questo sistema permette un vivo e autentico dialogo “con” l’”umano”?
Non dobbiamo dimenticare che la questione della “memoria” e del “rapporto uomo-macchina” appaiono centrali fin dalla nascita del World Wide Web. Negli anni sessanta Theodor H. Nelson, elaborando il progetto Xanadu, introduce il concetto di ipertesto e Tim Berners-Lee nel 1991 pubblica il primo sito Web della storia, tuttavia alcune importanti idee sul tema vengono anticipate, soprattutto in ambito americano, già diversi anni prima da celebri studiosi, si pensi ad esempio a Vannevar Bush e a Norbert Wiener.
Nel 1945 Bush pubblicò un breve saggio dal titolo As we may think[3] nel quale propose una riflessione sulla questione e sulle possibilità applicative di un nuovo sistema tecnico di memoria (mai realmente realizzato) al quale diede il nome di Memex (Memory expansion). Uno strumento tecnologico composto da leve, tastiera e proiettore di microfilm con l’ambizione di essere un’«estensione personale della […] memoria»[4]. I documenti inseriti al suo interno sarebbero potuti essere consultati con facilità seguendo i principi dell’indicizzazione associativa: per Bush infatti l’importanza di uno strumento come Memex stava proprio nella modalità di trattamento dei dati. In tal modo, introducendo il concetto di «percorsi associativi»[5] , si sarebbe potuta riformare l’idea stessa di catalogazione, classificazione e dunque di recupero del materiale documentario.
Nel 1948 Wiener, nel suo Cybernetics: Or Control and Communication in the Animal and the Machine[6] , introdusse il concetto di “cibernetica” e due anni dopo pubblicò The Human Use of Human Beings[7] , proponendo una riflessione critica sui rapporti tra l’umano e la macchina, con l’obbiettivo di tenere fede ad “un uso umano dell’umano”. Come fa notare Paola Castellucci, «per Wiener la tecnologia deve essere ripensata in termini radicalmente innovatori e democratici: non è più accettabile che “tutti i comandi provengano dall’alto senza che sia possibile nessuna reversibilità”»[8] .
Come ben sappiamo i lavori pioneristici di Nelson e Berners-Lee e gli studi dei loro predecessori sono diventati realtà e si sono radicati nelle nostre esistenze tanto da divenire parte integrante della nostra quotidianità. L’auspicata volontà di mettere in memoria una serie di dati e di collegarli per poter essere fruiti si è avverata. Ma, abbiamo certezza che l’esplosione dell’informazione che ne è conseguita corrisponda al nostro bisogno autentico di conoscenza reale e non sia solo il segno di un semplice assemblaggio di dati?
Da alcuni decenni la velocità del progresso tecnologico ha raggiunto livelli elevatissimi. Manuel Castells già nel libro The rise of the Network Society[9] del 1996 aveva avvertito che il ritmo dell’innovazione digitale era diventato esponenziale. Internet appariva infatti come il più rapido tra i mezzi di comunicazione: «negli Stati Uniti, la radio impiegò trent’anni per raggiungere 60 milioni di persone; la televisione ottenne questo livello di diffusione in quindici; Internet ce l’ha fatta in soli tre anni in seguito allo sviluppo del World Wide Web»[10] . Ma Castells notava anche che non solo la velocità di diffusione delle informazioni stava aumentando sempre più e stava generando un’immediatezza temporale mai raggiunta prima, ma aveva provocato un temibile collage temporale dove il tempo diventava «sincronico su un orizzonte piatto, senza inizio, senza fine, in assenza di sequenza»[11] .
La domanda che una sociologia critica ha il dovere di continuare a porre alla nostra comunità è se questi strumenti oltre a garantire velocità e immediatezza siano anche attivatori “di senso”. L’evoluzione così massiccia degli ICT ha certamente permesso di abolire diversi limiti di spazio e tempo nella trasmissione dei dati, ma ha contemporaneamente lasciato inevasa la questione di una mancata lettura viva e autentica della nostra contemporaneità. Il Web è capace nel suo affannoso inseguimento del futuro di non interrompere gli indispensabili legami con il passato, senza intrappolarci in un limitante «villaggio globale»[12] ?
Più recentemente, Luciano Floridi ne La quarta rivoluzione del 2017 ha provato a fornire un aggiornamento sul tema. Anch’egli ha sentito infatti la necessità di riflettere criticamente sul numero di dati che entrano nel nostro quotidiano e ha sostenuto che la raccolta di quest’ultimi diventa sempre più minacciosa e imponente. Siamo dunque sicuri che la velocità dei progressi di queste tecnologie richieda solo una valutazione “quantitativa” e non anche una “qualitativa”? È Floridi stesso a paventare il pericolo che «il mero accumulo di dati, nell’attesa di disporre di computer più potenti, software più sofisticati e nuove abilità umane, non funzionerà, anche perché non possediamo sufficienti capacità di immagazzinamento»[13] . La memoria inoltre non può essere confinata a mera faccenda di protezione tecnica, è invece soprattutto cura delle differenze significative e dei cambiamenti costanti. Se da un lato infatti il numero di dati cresce sempre più, dall’altro è importante non perdere il controllo del loro contenuto. Questo continuo cambiamento è certamente attestazione di costante e utile aggiornamento, ma porta con sé la pericolosa tendenza a rimpiazzare rapidamente il passato con un fittizio “eterno presente”. «Una pagina web che si aggiorna costantemente è un sito che non conserva memoria del proprio passato, e lo stesso sistema dinamico che consente di riscrivere migliaia di volte lo stesso documento rende altamente improbabile la conservazione delle versioni precedenti per un esame futuro»[14] .
Certamente il mondo digitale è oggi al centro di tutti i nostri traffici culturali. Vi è però la necessità di tenere sempre vivo un tavolo di discussione che non dimentichi l’imprescindibile relazione tra l’uomo e la macchina. La memoria fa affidamento sempre più ad un’”infosfera mutante e mutevole”, ma dobbiamo ricordare che questa, per rimanere attiva e fruibile, dovrà comunque sempre rifarsi ad un modello di relazione umana reale e condivisibile.
Maria Serena Matarrese
(Phd, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)
Bibliografia
- Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), tr. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1966.
- Bush V., «As We May Think» in The Atlantic Monthly (Boston), 176, July 1945, pp. 101-108 (e successivamente in Life, September 10, 1945, vol. 12, n.11, pp. 112-124), tr. it. V. Bush, Come possiamo pensare, in J.M. Nyce e P. Kahn (a cura di), Da Memex a hypertext: Vannevar Bush e la macchina della mente, Muzio, Padova 1992, pp. 41-62.
- Castellucci P., Dall’ipertesto al Web. Storia culturale dell’informatica, Editori Laterza, Roma-Bari 2009.
- Castells M., The Rise of the Network Society, Blackwell Publishing Ltd, Oxford 1996, tr. it. M. Castells, La nascita della società in rete, EGEA, Milano 2002.
- Floridi L., La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore Milano, 2017.
- Kracauer S., La fotografia (1927), in La massa come ornamento, Prismi, Napoli 1982.
- McLuhan M., Il villaggio globale (1989), SugarCo, Milano 1992.
- Wiener N., Cybernetics: Or Control and Communication in the Animal and the Machine, The MIT Press, Cambridge (Mass.), 1948, tr. it. N. Wiener, La cibernetica, Bompiani Milano, 1953.
- Wiener N., The Human Use of Human Beings, Houghton Mifflin Company, Boston 1950, tr. it. N. Wiener, Introduzione alla cibernetica, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1953.