Salvatore Majorana è il Direttore del Kilometro Rosso, il prestigioso Innovation District di Bergamo che aggrega centri di ricerca e imprese con una forte vocazione per l’innovazione. Già Direttore del Technology Transfer dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), è oggi particolarmente impegnato nello sviluppo di collaborazioni tra industria e centri di ricerca per trasferire al tessuto industriale competenze e soluzioni che generino vantaggi competitivi sia alle imprese che al territorio nel suo complesso. Con questa visione, svolge un ruolo attivo anche nella identificazione di percorsi di ricerca con una forte componente tecno-umanistica, dove l’innovazione è posta al servizio delle persone e dove la competenza umana rimane fondamentale per attivare un dialogo virtuoso con le macchine, l’informatica e la digitalizzazione dei processi industriali.
Il campus Kilometro Rosso di Bergamo offre attualmente sede a 70 Resident Partner – aziende, laboratori e centri di ricerca – per un totale di circa 2000 tra addetti e ricercatori. Per favorire l’Open Innovation e la contaminazione tra pensieri, competenze ed esperienze di gruppi diversi, Kilometro Rosso aggrega iniziative multidisciplinari e multisettoriali, articolate in diversi cluster tecnologici: energia e sostenibilità, formazione specializzata, ICT, materiali compositi, meccanica e meccatronica, ingegneria, prototipazione e design, scienze della vita, servizi avanzati per l’innovazione. Kilometro Rosso, con i suoi Resident Partner, rappresenta una realtà di riferimento nel panorama internazionale della ricerca e del trasferimento tecnologico, anche grazie agli oltre 140 eventi all’anno per promuovere l’innovazione.
Majorana, una domanda diretta, anzi direttissima: oggi l’innovazione tecnologica significa più vantaggi o pericoli?
L’innovazione tecnologica ha cambiato le nostre vite e ha apportato benefici straordinari. Il continuo impegno di ricerca in vari settori applicativi sta sviluppando di giorno in giorno questi vantaggi. Pensiamo proprio alla Pandemia Covid-19: cosa sarebbe accaduto alle relazioni umane, all’economia, al mondo del lavoro senza un adeguato supporto tecnologico? E poi non bisognerebbe mai dimenticare che dietro la scoperta di un vaccino, ad esempio, si collocano un’infinità di tecnologie, macchinari, impianti, filiere industriali… Così come moltissime competenze e professionalità, naturalmente, che dialogano in modo strettissimo con la tecnologia. È altrettanto chiaro che chiunque si occupi di tecnologia e scienza, dalla ricerca teorica fino alla industrializzazione dei risultati, deve essere cosciente che l’evoluzione tecnologica se non viene ben gestita e adeguatamente controllata, proprio dall’uomo, può generare anche dei problemi. Alcuni dei quali sono insiti nel rapporto persone-macchine. E quindi vanno sempre meglio indagati, conosciuti, affrontati. Da questo punto di vista il Kilometro Rosso è una realtà che evidenzia anche le contraddizioni dello sviluppo tecnologico, per proporre soluzioni concrete.
Sappiamo molto bene che il machine learning e l’intelligenza artificiale, prima di tutto, stanno cambiando notevolmente il rapporto uomo-macchina, considerando sia l’intensità di questo rapporto, sia gli scenari in cui esso si esplica. Si stanno aprendo nuovi, affascinanti territori di crescita. Pensiamo ad esempio alla robotica nelle sue varie forme, sempre più presenti sia negli ambienti di lavoro, ma anche fuori dalle fabbriche. Le macchine aumenteranno le capacità dell’uomo non solo nella comunicazione ma anche nell’interazione fisica, magari avremo degli alter ego che faranno cose al nostro posto. Inoltre, quando si guarda a un percorso di innovazione questo interviene anche sull’organizzazione stessa del lavoro e sui processi produttivi. Prospettive affascinanti, ma non prive di ostacoli, recuperando in forma attiva la necessità di guardare, e in molti casi ritornare, al concetto di Umanesimo.
Il compito di chi guida una realtà come Kilometro Rosso, a mio parere, è cercare di collegare il più efficacemente possibile ricerca, industria e vita civile, quotidianità e benessere delle persone. Siano esse impegnate in una fabbrica, come nella società nel suo complesso. Al campus, di fatto, siamo impegnati a fare trasferimento tecnologico, essere la “cerniera” tra mondi anche molto diversi fra loro, che hanno però bisogno di trovare punti comuni. Noi possiamo e vogliamo indicarli. Abbiamo la possibilità di farlo prima di tutto collaborando senza sosta con le aziende e le istituzioni di ricerca che risiedono all’interno del campus, ma non solo con queste. Per vocazione e mission siamo aperti al dialogo con le altre realtà nazionali e internazionali che si pongono un impegno analogo al nostro: parchi scientifici tecnologici, università, centri di ricerca privati e pubblici. Realtà estremamente propositive, che mostrano modelli che a volte basterebbe emulare per sviluppare non solo innovazione, ma progresso sociale. Con tutti questi soggetti non ci scambiamo solo informazioni e confronti di idee di carattere ingegneristico o industriale, ma ci poniamo reciprocamente il tema di come tecnologia ed etica, sviluppo e umanità, possano e debbano collaborare in forma sempre più positiva. Kilometro Rosso, da questo punto di vista, è un grande laboratorio tecno-umanistico, che opera all’interno del campus e verso l’esterno.
La collocazione del campus nel cuore della Lombardia non è certamente casuale, vero?
L’Italia, e in particolar modo la Lombardia, sono dei fortissimi centri di propulsione dell’intera industria manifatturiera a livello europeo. In questo quadro, il ruolo che Kilometro Rosso si propone di ricoprire è quello di un grande aggregatore di competenze e acceleratore di idee innovative. L’intuizione che portò alla nascita di Kilometro Rosso e fece la differenza fu nella considerazione che, in un mondo che era già molto cambiato, le competenze interne di un’azienda rischiavano di non essere sufficienti ad affrontare la complessità tecnologica emergente. Per farlo bisognava unire le forze con altre aziende e con le università e centri di ricerca e, per riuscire a fare squadra, serviva un posto dove lavorare assieme. Un luogo dove i suoi tecnici e ricercatori potessero trovare spunti e idee da un intenso scambio con persone di altre aziende e di altri settori. Un progetto di prossimità fisica coniugato con una prossimità progettuale capace di moltiplicare nella collaborazione i talenti dei singoli. Per continuare a farlo, all’interno del nostro campus stimoliamo la continua condivisione di idee e di competenze diverse. La nostra mission è proprio facilitare il dialogo tra imprese, centri di ricerca e industria manifatturiera, partendo da un territorio che è un motore industriale tra i più importanti in Europa. In questo humus estremamente avanzato e dinamico, si nota come competenze tecniche, digitali e combinatorie sono la chiave della “Quarta Rivoluzione Industriale”. Kilometro Rosso in questo contesto si pone come facilitatore e abilitatore dei processi di innovazione e si impegna ad aiutare l’enorme valore generato dalla ricerca scientifica italiana a trovare la strada verso le imprese e il mercato. Ricordo che il campus combina ricerca e trasferimento tecnologico con 70 Resident Partner fra aziende, laboratori e centri di ricerca, per un totale di circa 2000 tra addetti e ricercatori. Sono oltre 580 i brevetti depositati finora grazie alla nostra attività unitamente a quella delle aziende del Parco. Per tutte le realtà che compongono il campus, il cuore della partecipazione all’idea e al progetto Kilometro rosso è l’innovazione.
Per me innovazione è sinonimo di creazione di valore tramite nuove idee. Attenzione però: trasformare un’idea in valore richiede la comprensione dei bisogni da soddisfare, richiede un sistema per trasferire il valore dell’idea al sistema produttivo o alla società, solo così si genera un cambiamento virtuoso. Non tutti i cambiamenti, infatti portano valore, pertanto è importante darsi un metodo per misurare ciò che è valore in un ciclo di innovazione. Per semplificare, direi che un’idea genera innovazione se produce progresso e qualità della vita per la comunità, oltre che per l’industria e per il business. Molte evidenze ci dicono che l’economia e l’industria hanno saputo perseguire efficacemente questa visione. Ma sicuramente molto c’è ancora da fare e diversi aspetti da sistemare… (sorride ndr.).
In questo scenario qual è il ruolo delle università e dei giovani? Come possono partecipare a generare innovazione e promuovere una cultura tecno-umanistica?
Come ho già avuto modo di sottolineare in diverse occasioni da quando sono Direttore di Kilometro Rosso, in particolare durante incontri con docenti universitari, vedo la possibilità di intervenire su due fronti: da un lato, le università potrebbero investire più energie nei loro centri di trasferimento tecnologico, dotandoli di personale qualificato e in misura adeguata alle attività di preparazione dei lavori da presentare al mercato, così come quelle di marketing e comunicazione delle loro ricerche. Un impegno caratterizzato da senso pratico e attenzione nell’intercettare i cosiddetti need aziendali. Dall’altro lato, potrebbero studiare dei meccanismi premianti per chi fa ricerca, in modo da stimolare il comparto scientifico a ricercare quel dialogo con l’industria che troppo spesso manca. Vi è poi il mondo degli studenti. Con le loro aspettative. Anche in questo caso, ho avuto modo di sottolineare in più occasioni il mio pensiero davanti a platee composte da studenti universitari. Pensiero che sintetizzo nel concetto: non farsi sconti. Può apparire una riflessione fin troppo pragmatica, o addirittura dura. Ma estremamente impegnativo e duro è lo scenario che oggi si trova di fronte un giovane che esce dall’università. Bisogna studiare moltissimo e in continuazione: io stesso ancora oggi passo diverse ore della settimana a leggere. Oltre che ad ascoltare gli esperti con cui mi confronto. E poi bisogna viaggiare, verificare nuovi contesti, anche rischiare un po’, a costo di fare errori. Saper imparare da essi. Consiglio a tutti di concentrarsi su una robusta base tecnica, perché non ci sarà mestiere che non dovrà fare i conti con la tecnologia, nemmeno quelli che ai più sembrano solo di taglio umanistico. Nello stesso tempo dico a ingegneri, tecnici, programmatori e analisti dei dati: siate più umanistici! Continuate a studiare la letteratura e l’arte, appassionatevi di libri, cinema, mostre… frequentate i musei e aprite collaborazioni con Accademie di comunicazione visiva. Insomma, sanate la frattura che per troppo tempo è andata crescendo fra mondo tecnico-scientifico e mondo umanistico. Ora più che mai non esistono barriere e c’è bisogno di continue contaminazioni. Non di Covid-19 naturalmente! Ma di idee, progetti, collaborazioni, punti di contatto e percorsi comuni. Lo notiamo tutti ogni giorno di più: la tecnologia è umanistica, l’umanesimo sarà sempre più anche tecnologico.