Assistiamo ora al “superamento dell’accesso” come fattore determinante del fare e dell’agire.
L’epoca teorizzata da Rifkin si è palesata da tempo e le conseguenze della rivoluzione della new economy si sono sparpagliate come un mosaico tutte intorno a noi.
L’estrema flessibilità e l’incredibile precisione degli strumenti tecnologici democratici hanno nei fatti accorciato ogni qualsivoglia processo creativo e progettuale generando una fluttuazione costante e sincopata.
Il metodo, come strumento di attuazione di processi e di fasi, risulta essere sotto attacco costante di una logica disruttiva in cui la mente dell’autore può procedere in fluttuazione, attivando pensieri e risorse in modo non randomico ma bensì libero e trasversale.
Si immagini in tal senso l’approccio con cui un giovane designer decida di stabilire una tavola di stile a cui fare riferimento.
Il procedere selettivo fatto da ricerca e analisi, studio e verifica viene adesso sostituito da click infinitesimali su finestre liquide di schermi multiformato.
La scelta è quindi rapidissima e procede per esclusione o inclusione su base di un apparente gradimento visivo spesso di superficie rivestito.
Il rapido collage è quindi pronto per dettare le sorti di un progetto e fornire le indicazioni al team di lavoro.
Questo procedere in remix tra coerenza e incoerenza è oggi sdoganato e governa indiscusso in molti settori tra cui la moda, l’arte e il design.
Sembrerebbe che questo approccio funga quasi da autocelebrazione della rete stessa: rapida, omnidistesa e ovunque fruita.
Sì perché lo si ritrova con facile analogia in ogni dove, vuoi ora nella logica del suffisso “-core” negli hashtag social (ora divenuti addirittura #corecore) vuoi ancora nei movimenti spaziali in ambiente metaverso ove lo spazio non è percorribile come lo conosciamo bensì fungibile, in balzi e scatti d’ambiente e di contesto.
Ecco questo in sintesi il procedere attuale per cui si svuota il contenuto a garanzia della celebrazione di un format.
La rete ha forse catturato le sue prede come giustamente in natura viene creata dagli insetti?
Urgente è quindi il ruolo di quei mediatori culturali che sono gli artisti, i teorici e pensatori finanche i docenti che riflettono sul ruolo dell’uomo e sulle conseguenze delle sue azioni e delle sue scelte.
La contestazione contemporanea deve passare attraverso questa presa di coscienza e iniettare nei giovani una più solida consapevolezza in grado di governare questa logica disruttiva poco addietro descritta.
Vi è da un lato la certezza che il tempo di chi ha vissuto questi cambiamenti è divenuto l’elemento per attuare la consapevolezza e per la determinazione di nuovi processi di pensiero.
Penso all’uso della tecnologia fatto da artisti come Nam June Paik, Piero Fogliati, Bill Viola.
Bill Viola
“Reflecting Pool” – 1977-1979
Videocassetta a colori, audio monoaurale, 7min
Bill Viola Studio
Tutti artisti che nel mezzo tecnologico hanno individuato le dinamiche e le logiche costruttive, oltre che intrinseche, e che nel tempo le hanno superate in alterazione elevandole a nuovi spazi di pensiero ( vd. opere Magnet Tv di Paik, Reflecting Pool di Viola e ancora la Macchina per produrre fantasmi di Fogliati).
Nam June Paik
“Magnet TV” – 1965
Televisione B/N, magnete.
Whitney Museum of American Art, New York | © Nam June Paik Estate
Piero Fogliati
“Macchina per produrre fantasmi” – 1965
Fantasma Pulsante, schermo rotante a bacchette 50 x 125 x 170cm
E non si tratta di sola meraviglia o sfavillante stupore meccanico-luminoso, si tratta di elevazione di “Trasformazione – Superamento” perché l’uomo controlla e governa e funge da garante vuoi ora provocando o semplicemente dichiarando la tecnologia nella sua nudità come strumento d’espressione.
È nel tempo vi è la chiave per attuare la dipartita dalla ragnatela.
Filippo Centenari
“Trasformazione- Superamento” – 2020
Neon, alluminio, plexiglass e trasformatore – 180 x 25 x 10cm
Collezione Privata
L’offerta visiva multi contenuto permessa dalla rete Internet e dagli strumenti di comunicazione, è nelle mani di tutti e sfavilla di attrattive ben armonizzate dall’alta definizione capace di tingere in pixel ultra densificati qualsivoglia opera o immagine percepita a schermo o attraverso lo stesso.
È tutto un bling bling bling di luccicanze attorno al nostro pensiero che ancora oggi però deve emergere ed eccellere.
Non vi sono quindi scuse e non vi sono alterazioni: ogni cosa deve essere al suo posto.
Nell’arte e nel design vi sono regole fatte di contro-regole e tutto è in equilibrio tra perfezione e imperfezione e non è forse il medesimo “layout” in cui l’essere umano è costretto a vivere: nel suo corpo che è macchina perfetta e costellata di imperfezioni che ne fanno caratteristica?
Serve molta ragione per comprendere queste sfumature e serve molta visione per interpretarle a lungo raggio.
È all’identità che penso e alla necessità di definirla, riconoscerla e attuarla attraverso la consapevolezza che è data dal tempo di analisi, dal tempo d’uso, dalla percezione e dalla rielaborazione fatta di ricostruzione.
In questo spazio elastico, già anticipatoci da Gianni Colombo nel 1966, fatto di intrecci mobili e flessibili mutabili dal fruitore ma rigidi in assenza di esso, è ancora indicata e visibile la chiave.
Gianni Colombo
“Spazio Elastico” – 1967
Fili elastici fluorescenti, elettro-motori (quattro), lampade a luce – Misure ambientali
Archivio Gianni Colombo
Perché tale chiave è l’uomo ed esso non può sottrarsi al suo ruolo responsabile e analitico che tramite il tempo del pensiero e della verifica può superare o aprire barriere anche invisibili, forse fluorescenti di pigmenti in polvere.
Filippo Centenari
(Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia)