L’intelligenza artificiale si spinge oltre i confini della scienza per entrare nel mondo dell’arte, riaccendendo uno storico enigma: il dipinto Il bagno di Diana (circa 1635), a lungo considerato una copia, potrebbe celare la mano di Peter Paul Rubens. Quest’ipotesi è il frutto di un’analisi condotta da Art Recognition, un’azienda svizzera specializzata nell’autenticazione delle opere d’arte tramite AI. La loro valutazione, presentata all’Art Business Conference di Tefaf Maastricht, suggerisce che almeno una parte del dipinto potrebbe essere attribuita al maestro fiammingo, gettando nuova luce sul dibattito tra tecnologia e attribuzione artistica.
Art Recognition, fondata sei anni fa, vanta oltre 500 valutazioni di autenticità, tra cui l’analisi di un autoritratto di Vincent van Gogh per il National Museum di Oslo. Il suo sistema di AI, per questo specifico caso, è stato “addestrato” su opere autografe riconosciute di Rubens, analizzando, in dettaglio, il dipinto di proprietà di un collezionista francese.
«Si è trattato di una valutazione di autenticità, non di una conferma», afferma Carina Popovici, CEO di Art Recognition. «Abbiamo concluso che il dipinto è in parte opera di Rubens. La nostra AI non può sapere chi ha fatto il resto, ma una possibile interpretazione potrebbe essere che si tratti del contributo della bottega [dell’artista]». L’analisi ha infatti suddiviso il dipinto in 29 sezioni: 18 hanno mostrato una probabilità medio-alta di essere autentiche, mentre 11 hanno sollevato dubbi, quattro delle quali chiaramente non riconducibili a Rubens. In particolare, la figura di Diana è stata giudicata estranea allo stile del Maestro.
L’analisi ha però incontrato lo scetticismo degli esperti. Nils Büttner, presidente del Centrum Rubenianum – principale autorità sulla figura di Rubens – ha dichiarato: «Credo che il software AI e Art Recognition siano validi, ma i risultati non concordano con quanto affermano gli studiosi di Rubens». Lo storico dell’arte Gregory Martin, infatti, nel 2016, ha redatto un rapporto sull’opera – confermato poi nel 2023 con un’ispezione UV – evidenziando incongruenze nel dipinto – come l’uso di un primer rossastro e una tecnica di disegno di base – non compatibili con quelle usate dal Maestro.
L’indagine ha anche riacceso il dibattito su un frammento del Bagno di Diana conservato al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, in passato attribuito a Rubens ma riconsiderato nel 2016. «Il Rubenianum ha elencato questo frammento come autentico negli anni ’90, ma poi ha messo in dubbio l’attribuzione», ha spiegato Popovici, ipotizzando che un nuovo giudizio su quel frammento potrebbe cambiare la percezione – sia stilistica che economica – dell’opera francese.
Se l’AI potrà influenzare il mercato dell’arte è quindi ancora una questione aperta. L’anno scorso, Art Recognition ha finanziato la vendita della prima opera autenticata tramite AI, segnando un passo importante per il settore. Tuttavia, il metodo resta controverso: secondo Büttner, l’accuratezza dell’analisi dipende dalla qualità dei dati di “addestramento”. Popovici ha confermato che l’indagine su Il bagno di Diana è stata condotta prima della sua collaborazione con Büttner, che ha migliorato il dataset di riferimento usato per la valutazione sull’opera francese.
Si può quindi affermare che, ovviamente, il progresso dell’intelligenza artificiale nell’autenticazione è inarrestabile, ma non esente, tuttavia, da revisioni. «Un’AI addestrata su Rubens nel 2023 potrebbe essere superata in accuratezza da una riqualificata nel 2025 con il supporto di autorità leader», ha affermato Popovici.
La questione resta dunque aperta: l’intelligenza artificiale sarà mai in grado di sostituire l’occhio esperto degli storici dell’arte o resterà un supporto analitico da integrare con la conoscenza umana?
Nicoletta Biglietti
(Studentessa, Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia)