Io immagino che non si possa trascorrere un fine settimana nelle Ninfee di Monet (ancora).
Posta questa condizione provo a concentrarmi (quasi) esclusivamente su alcuni interrogativi nella prospettiva di condividere ipotesi di verità che si possano materializzare solamente nell’atto di “trovarsi incontrandosi” – on/off line – in un momento di restituzione al pubblico.
«La prospettiva odierna del digitale appare molto più fisiologica che intangibile, è proporzionale all’esigenza di immersione corporea (e il riferimento è ad una sorta di bagno fisico), la quale aspira all’attraversamento dello schermo per penetrare le inquadrature. Si tratta di qualcosa di attraente quanto le pulsioni primordiali, ancestrali, dell’umanità; è il vivere (talvolta scomparire) nelle immagini[1]».
È come se l’essere con venga sempre più proponendosi nella forma (e nel formato) dell’essere con-nesso (per mezzo di). Il punto è: di che cosa? Si tratta di visioni diverse o di mezzi che propongono immaginazioni altre? La percezione è che sempre più frequentemente i bisogni delle generazioni cresciute durante le “prove generali del mondo globale” abbiano aperto alcuni laboratori di pensiero, che hanno dato vita a finestre prospettiche, attraverso le quali il superamento della soglia reale/virtuale sta determinando l’opportunità di uno spazio d’azione più consono alle urgenze di quest’epoca, che è costantemente alla ricerca della propria definizione collettiva e comunitaria. Rifiutare l’ora (l’adesso) non può che creare una frattura grave nel dialogo intergenerazionale.
Dunque, in ordine sparso:
Come si può essere presenti?
Come conciliare le considerazioni estetiche, etiche, storiche, con le dinamiche informatiche dell’economia tecnologica?
Il corpo è coinvolto come uno spazio sperimentale nella progettazione delle nuove tecnologie?
Quale consapevolezza rileva la relazione fra l’ascolto e la composizione?
Lo studio londinese di Francis Bacon, si trova alla Hugh Lane City Art Gallery di Dublino oppure a Londra?
E ancora, come si rimaterializza oggi l’attuarsi del processo di messa in forma del pensiero creativo e dell’opera, oltre lo schermo, quindi dentro l’habitat cyberspazio globale? […]
E da qui come evitare che alcuni reali – come ad esempio nft – siano l’ultima “versione Bimby” dell’arte contemporanea?
Copertina: M. Tantardini, Bit generation, London 2005